Da oggi l’ospedale Fatebenefratelli di Roma è una “casa di vita”. Questo il titolo conferito dalla Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg in memoria del salvataggio di ebrei durante le persecuzioni naziste che fu compiuto al suo interno. A patrocinare l’evento, svoltosi questa mattina alla Sala Assunta dell’ospedale, la Comunità ebraica di Roma e la Fondazione Museo della Shoah. I cui presidenti Ruth Dureghello e Mario Venezia hanno portato i loro saluti insieme alla vicepresidente della Fondazione Wallenberg per l’Europa Silvia Costantini e il suo rappresentante Jesùs Colina, il vicepresidente Operativo dell’ospedale Fatebenefratelli all’Isola Tiberina Fra Giampietro Luzzato, il direttore generale Marco Longo, il direttore allo Sviluppo Paolo Verdicchio e il ministro consigliere dell’ambasciata israeliana a Roma Rafael Erdreich. Presenti anche due delle persone sopravvissute grazie al rifugio offerto presso l’ospedale, Gabriele Sonnino e Luciana Tedesco, che hanno svelato la targa in un cortile dell’ospedale insieme a Luzzatto.
“Quella del Fatebenefratelli con la Comunità ebraica di Roma è una vicinanza non solo geografica” ha detto Dureghello, dopo aver letto un saluto del rabbino capo Riccardo Di Segni, ricordando l’intervento tempestivo dei medici della struttura in occasione dell’attentato alla sinagoga nel 1982. Venezia ha quindi osservato l’importanza di proporre iniziative di Memoria “in un momento particolare come quello attuale in cui si tende sempre di più a mischiare vittime e oppressori”. “Tra i molti italiani che furono delatori o tacerono di fronte alle persecuzioni nazifasciste – ha concordato Longo – abbiamo il dovere di ricordare chi salvò vite innocenti, specialmente dal momento che purtroppo ancora oggi si seminano morte e orrore in nome della razza e della religione”.
Dichiarandosi “onorato” del titolo di “casa di vita” per il Fatebenfratelli, Verdicchio ha introdotto la mattinata, nel corso della quale è stata ricordata la figura del professor Giovanni Borromeo che, il 16 ottobre 1943, nascose decine di ebrei scampati alla retata nazista, in un reparto del nosocomio. Per loro inventò una malattia infettiva estremamente pericolosa, cui diede il nome di Morbo di K, dove K stava ad indicare l’ufficiale tedesco Herbert Kappler o il generale tedesco Albert Kesselring. Le SS, temendo il contagio, non fecero mai irruzione nel reparto di isolamento. Antifascista della prima ora, Borromeo partecipò attivamente alla Resistenza installando insieme al priore Fra’ Maurizio Bialek negli scantinati dell’ospedale una radio ricetrasmittente clandestina, in continuo contatto con i partigiani laziali. Agli ebrei dell’ospedale e alle loro famiglie procurò falsi documenti ed un rifugio sicuro in vari monasteri.
“Oggi ricordiamo una storia di quotidiana devozione e straordinario coraggio che rispecchia nostra filosofia ispirata al valore dell’ospitalità, quella di rendere l’ospedale un luogo di accoglienza per tutti”, le parole di Luzzatti. Un coraggio elogiato anche da Costantini, ed Erdreich ha ricordato che per aver salvato tante vittime innocenti nel 2004 Borromeo ha ricevuto dallo Yad Vashem anche il riconoscimento di Giusto tra le Nazioni. Lui e Bialek sono stati per Colina “eroi silenziosi, che è un dovere ricordare come esempio per le generazioni future”.
(Nell’immagine, Gabriele Sonnino e Luciana Tedesco, due sopravvissuti alle persecuzioni grazie all’accoglienza presso l’ospedale Fatebenefratelli)